Stesso Caffè
Ogni giorno lo stesso bar.
Ogni giorno la stessa ordinazione. Ogni giorno lo stesso caffè. Ogni giorno lo stesso sguardo. Ma allora qual'è il vero motivo...? Lo studio. Il triste sistema che lo ha condannato alla povertà e alla miseria lo ha spinto ad allenare l'udito e lo sguardo. Moglie e figlia a carico... e la lotta alla sopravvivenza si fa più truce. Siede sempre in quel tavolo. Ancora non mi nota, ma so che non è così. La speranza, anche solo, della notizia di un posto di lavoro libero, all'interno di quel brusio che accompagnia la clientela, lo mantiene lucido e pronto. In silenzio medita e ascolta. E fatica nel non piangere. Ma il problema sorge al momento della malattia. Una febbre che non passa ed una figlia che soffre. Il giusto necessario per iniziare l'abbandono dell'onestà. Una paura supera l'altra ed ogni certezza su quanto la sua tolleranza possa resistere cade in un vuoto buio e profondo. Si alza dalla sedia allontanandosi dal tavolo. E paga il conto di quell'innocente caffè che il barista, a conoscenza di tutto, non osa mai offrirgli. Ora sta uscendo e si avvierà verso casa. Il tempo necessario per studiare il suo obbiettivo: i miei movimenti e i miei orari. Il mio lavoro non mi ha mai imposto di vivere nell'umile. Ho abbastanza denaro. E chi mi conosce neanche lo sa. Che freddo! Si congela... Grazie al cielo ho l'abitudine di portarmi dietro questa manna: una giacca coperta che mi porto dietro da chissà quanti anni, neanche la ricordo più la sua storia. Un capo completamente rivestito in lana spessa, paticolare adatto a circostanze invernali. Che grazia. Porta con se già diversi strappi e segni del tempo che immancabilmente divora tutto ciò che tocca Ed è proprio su questa giacca che mi concentro. Perchè è proprio questo che cercherà di portarmi via. Conosce il mio tenore di vita, ha avuto tutto il tempo per capirlo. Molto probabilmente procederà questa sera stessa... devo apparecchiarmi. Ho ancora tempo. Ecco uno dei miei negozi preferiti. Mi conoscono molto bene qui e mi tratteranno con la giusta accortezza. Passeggio lentamente, senza fretta. Ho ancora tempo. Contemplo tutti i vestiti che mi sorridono e mi chiamano, mi implorano affinché io svuoti le tasche. Ma la mia attenzione cade proprio su di lui... Di color nero come la notte, uno dei miei colori preferiti. Costa esattamente quanto l'esperta lavorazione che c'è dietro. Ed è lui quello che voglio. E' lui quello che mi serve. Lo prendo. In questo momento, il mio futuro aggressore dovrebbe essere a casa. Che coccolando la famiglia non penserà altro se non quello che farà. La vergogna gli avrà già invaso il sistema nervoso, e vari pianti saranno i prossimi ad essere consumati. Mi seguirà... non appena avrò abbandonato il locale. E aspetterà che m'incammini in un posto abbastanza isolato. Esattamente dove io lo condurrò. E sarà troppo nervoso per accorgersene. Ma io sono già pronto. Lascio l'auto esattamente devo concluderò il nostro cammino, perchè è li che dovrà trovarsi. Vado a casa a piedi. Quattro passi non mi faranno male. Ora non resta che attendere. E ho ancora tempo. Ci siamo. E' giunto. Muoio dall'emozione, anche se questo lui non lo sa. Indosso, ovviamete, la mia vecchia giacca coperta. Voglio che la veda bene. Giungo sul luogo, dove da lontano vedo già il bar. Molto probabilmente è già li, paziente, pronto. Con quella sua testa rasata e il suo fare misterioso e triste. L'ho potuto notare già aprendo la porta. Seduto su quella sedia. Con davanti quel caffè... non lo berrà. La tazzina rimarrà li a congelarsi. Fissandolo, lo sventurato, penserà se quella dannata ansia gli permetterà di deglutirlo. Stava per berlo, aveva deciso. Ma il gelo nei suoi occhi ha origine nel momento in cui mi vede entrare. A quel punto rinuncia del tutto. Esita qualche istante, il tempo di farmi sedere e farmi ordinare qualcosa. il tempo di farlo innervosire maggiormente, vedendomi comprare qualcosa che lui non può permettersi. Quella rabbia lo aiuterà nella sua opera. Sta pagando. E fra qualche secondo uscirà a testa basta dal locale, vergognandosi come un ladro, e siederà sulla panchina qui fuori, dall'altra parte della strada, un posto ombreggiato e cupo. Consumerà ogni secondo che passerà, fino alla mia uscita, pregando che qualcosa o qualcuno lo fermi. Ma nessuno lo ascolterà. Nessuno lo farà. A nessuno gli importa. Pago. Esco. E diamo inizio al balletto. Ha già iniziato ad incamminarsi da come ho svoltato l'angolo. Non se la cava per niente bene, si nota da lontanza quanto sia impacciato. E terribilmente disperato. Ne percepisco la paura, i timori. La sua anima gli sta implorando di fermarsi e i suoi ricordi tentano di ricordargli chi è... E io posso sentirlo. Come molti altri, prima di lui. Ne vedo le immagini, distorte e confuse ma comprendendole. Percepisco le loro influnze, quei sottili flussi che la gente non considera, ma da cui, per ironia, si fa soggiogare. Poter vedere ciò che da sempre ha domato il mondo... e che il mondo ha sempre ignorato. Mentre continua a mimare il mio cammino, continua a farsi divorare l'anima dal suo male. Il biglietto d'ingresso per il proprio abisso. Una violenza che io posso vedere, studiare e assorbire. Ogni essere umano sua questa terra, tende a prendere forma delle proprie frustrazioni. Il mio compito, stasera, è quello di non fargli vedere che forme hanno le sue. Ma a pochi metri della tappa da me prestabilità, la sua voce interrompe il nostro viaggio: <<Mi scusi...>>. Mi volto con voluto fare perplesso, e grazie al cielo il mio occhio non si azzarda a farsi notare. <<Dica...>> pronuncio gentilmente, disinvolto, ma lui non gode per i preliminari ed estraendo la sua pistola, che chissà in quale tugurio ha reperito, da inizio agli esiti: <<Mi dia quella giacca! Forza!>>. Alzo le mani molto lentamente e controllo i miei movimenti con le dovute attenzioni: i suoi nervi potrebbero sorprenderlo e il suo dito su quel grilleto potrebbe non rispondere al suo controllo. Analizziamo con calma: Il braccio con cui mantiene la pistola è debole trema e leggermente inclinato. Molto probabilmente è la prima che maneggia un'arma, avrei tutto il tempo per togliermi dalla traiettoria di tiro prima che prema il grilletto, il segnale sarebbe il suo sguardo sforzato e gli occhi che vorrebbero chiudersi... dovrebbere essere semplice prevedere un suo errore. E' magro. Cederà buona parte dei suoi alimenti alla povera moglie e alla figlia malata. Anche solo un leggero assesto gli danneggerebbe qualcosa. Voglio che sia pronto per lavorare, non posso colpirlo. <<Stai calmo...>> gli dico con dolcezza, mentre mi sfilo la vecchia giacca coperta. <<Niente di personale.>> conclude. Afferra il capo e in velo di pietà si da alla fuga. Non sta andando esattamente come avevo programmato. Ma non importa. Sarà più divertente. Ho sempre amato adattarmi alle circostanza che sfuggono, qualche volta, al controllo. Nel mio lavoro ho imparanto che sono sempre i piani alternativi a donare speranza. Ed io l'ho appena trovato. Alla mia sinistra vi è un vicolo. Buio esattamente come il resto del quartiere. Sarà quella strada che mi porterà le colusioni. E non mi sono mai pentito di ricordare a me stesso che la fortuna sorride solo agli audaci. Certe circostanze bisogna imparare a cercarsele da soli: Ho già detto, precedentemente, di avere ancora tempo? Una leggera corsa e sono già appostato dietro l'angolo che mi interessava. Sento i suoi passi correre verso la mia direzione, mentre incurante lui crede che raggiungerà casa. Un lieve movimento di gamba come da sgambetto. Mancava un pizzico di ridicolo in tutto questo. E come da copione crolla al suolo seguito da un urlo e da un tonfo. O è al contrario. Non è stata una terribile caduta, tra poche ore sarà come nuovo. Non intendo dargli il tempo di voltarsi, la mia arma lo sta già minacciando: <<Getta l'arma.>> gli ordino deciso. Tremolante e proncinto al pianto cade nell'abisso della vergogna, il suo abisso, allungandomi poi il capo come per restituirmelo. <<No!...>> aggiungo <<...Tienilo tu. Seguimi.>>. Sotto l'autorità della mia arma, scorto lo sventurato fino a dove eravamo giunti prima. Riprendendo i controllo degli eventi sfuggiti. Infine ci affianchiamo alla mia auto. Non riesco nemmeno a descrivere quello che posso sentire. Il senso di umiliazione che ogni secondo lo mangia dall'interno, tenta di cambiarlo ancora, di farlo marcire sempre di più. Faccio una fatica immensa a trattenermi senza scoppiare a piangere. Sono proprio queste realtà che ti mettono a nudo il concetto dell'essere umano. Io più di tutti posso capirlo. Semplimente perché posso vederlo. <<Aprila e allontanati!>>. Dopo che ha eseguito aspetto che si allontani abbastanza da permettermi di avvicinarmi senza perderlo di vista Mi avvicino deciso, tenendogli puntata contro la pistola, ed estraggo dalla zona del passeggero il capo acquistato oggi pomeriggio. La bellissima giacca coperta nera, nuova, di nuovo modello, creata professionalmente per i periodi invernali. Sorreggo il vestito. Siamo quasi giunti alla fine del mio teatrino. <<Mettila in auto e chiudila!>> Lo osservo ora che tremante si avvicina alla zona del passeggero, posa sul sedile il vecchio capo, appena derubato, e come appena ordinato chiude la portiera. <<Prendi.>> gli lancio ora fra le braccia il capo nuovo. Dentro troverà un mio biglietto da visita. <<Vai a casa...>>. Col volto in lacrime, resta per qualche secondo fermo a fissarmi. Come spaesato, o incredulo di cosa possa essere accuduto. Posso notarne la mascella che vibra, prossimo ad una crisi disperata. Ma è forte. Non lo farà, resisterà. Si allontana senza dire nulla. Il mio occhio emette il suo solito lampeggio rosso. Questa volta in ritardo... grazie al cielo. Lo schema era ottimo così come si è consumato, non avevo proprio voglia di spiegargli che andava tutto bene... che non sono un cyborg... che non sono un mostro... e che non gli avrei fatto del male... Speriamo comunque non mi abbia visto. E speriamo che domani mi chiami. In questo mondo. In questa nazione. Con questa corrente di pensiero. Se si ha voglia di aiutare qualcuno, si è costretti a farlo di nascosto. Secondo i propri schemi, contro i distorti valori morali degli altri, e perdendo la speranza che qualcuno possa prenderne esempio. E' tutto così dannatamente... triste. Basta. Per stasera può andar bene così. Voglio andare a casa. |